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La fine dell’assistenzialismo culturale e noi

Proponiamo qui di seguito l’urticante “contributo al dibattito” di Goffredo Fofi, apparso sul quotidiano l’Unità di domenica 3 luglio.  Totalmente  disincantato  e provocatorio al limite dell’impietosità, può tornare utile nelle nostre realtà, dove il binomio turismo-animazione culturale ha finito per suscitare aspettative forse eccessive. Quale allora il ruolo di un’intellighenzia che voglia fare meno affidamento sull’assistenzialismo culturale e più  sulle “proprie” (nostre) forze? Quale il valore aggiunto ancora apportabile dagli operatori culturali ad una società  allarmata dalla sensazione della decadenza?

Sull’assistenzialismo culturale 

L’elemosina dello Stato al cinema, al teatro e alle arti è stata insieme una tragedia e una commedia che ha ingenerato una disastrosa confusione e un’illusione creativa nelle ultime due generazioni. 

E’ stata insieme una commedia e una tragedia la storia dell’assistenzialismo nel campo delle arti, dilagata negli anni delle vacche grasse e dell’allegra gestione della cosa pubblica operata dai partiti più forti attraverso leggi e leggine.Una commedia perchè l’uso del denaro ha finito per privilegiare i compagni di strada di questi e di quelli, per privilegiare le corporazioni e adunate più forti senza alcun riferimento alla qualità dei prodotti e al loro legame col presente storico del paese e con le sue necessità di capirsi e cambiare.

Due esempi maggiori ? In cinema, perchè non ripeterlo ? I privilegi del gran salotto romano, quasi sempre “di sinistra” e con l’appendice “proletaria” delle famiglie dei tecnici, con il risultato di un cinema superfluo e dimenticabile, provinciale asfittico, volgarmente consolatorio e, nei prodotti più ambiziosi, di vistosa ipocrisia; per esempio, in teatro, la “greppia” dei teatri stabili; ma si potrebbe continuare, per tutte le arti e le loro parti, per esempio con le solite biennali triennali quadriennali annuali e con i festival di questo e di quello, con le passerelle di cui anche quest’estate dimostra di non saper fare a meno. E’ forse migliorato l’italico livello culturale grazie a questo scialo di allegri spettacoli e pensose conferenze, al contratto diretto con i famosi,  merce essi stessi ?

E questo scialo è forse proceduto di pari passo con il bene comune della scuola pubblica, col miglioramento, per esempio, del livello culturale dei nostri insegnanti e il loro senso di responsabilità nei confronti dei discenti? Parlano tutti molto bene e trafficano tutti molto male, dice un mio amico (tedesco) dei nostri artisti, critici, intellettuali e altri funzionari della cultura…Una tragedia, perchè si sono illuse almeno due generazioni che, nella mutazione mondiale in cui l’economia (il lavoro) veniva proditoriamente sostituito dalla finanza e dai suoi ormai giochi sulle spalle di tutti, fosse possibile vivere tutti d’arte e d’amore come la Tosca (ma lì finiva, guarda caso, che morivano tutti).Chiusi gli sbocchi professionali tradizionali e variati restava ai giovani l’illusione della creatività – una menzogna di cui sappiamo bene come è stata propagata. E siccome non può esistere una generazione che si dedica 2 su 3 o 1 su 2 alle attività artistiche e culturali, è accaduto che, crisi crescendo, questa generazione si è ritrovata con le pezze al culo e col culo per terra, e fa una gran fatica, non aiutata da nessuno e ingannata da tutti, a rendersi conto della beffa in cui si è lasciata fregare. La parte peggiore della generazione, quella più numerosa e meno dotata, ne ha derivato, per stare al passo, una sorta di vocazione alla prostituzione, che non è peraltro diversa da quello che anima tutto il paese, costretto, per esempio, a fidare nel turismo come una delle poche possibilità reali di sopravvivenza ma non derivando da quest’obbligo la cura del patrimonio e dell’ambiente e una coscienza saldamente internazionale (giocando per esempio sulla confluenza nella penisola di una “nordità” e di una “sudità” non solo “locali”) e la proposta (“creazione”) di opere significative per tutti come espressione dei dilemmi e speranze del presente, bensì la corsa a un crescente provincialismo (un esempio tra i più comici, la corsa di tante città a candidarsi come capitali europee della cultura).Queste considerazioni non sono nuove, e molti diranno che sono il solito rompiscatole, ma poco male, perchè i fatti sono quelli, e se uno vuol guardare ai risultati del ventennio trova vaste discariche di monnezze. Con eccezioni rare e benemerite che vanno lodate perfino più dei loro meriti reali, proprio perchè eccezioni e perchè aprono a possibilità nuove, hanno sguardi adeguati.Va dunque ossessivamente ribadita, se si spera nei giovani, la differenza tra arte e spettacolo e considerando arte la capacità di capire e rappresentare le angosce e speranze profonde del nostro tempo in modi utili ad altri, e non importa se maggioranze o minoranze. Non mi pare che in questi giorni tra gli occupanti del teatro Valle a Roma vi sia molta chiarezza: vi confluisce e vi si confonde di tutto, ma soprattutto sembra dominarvi la paura del futuro e la vecchia abitudine a chiedere la protezione o l’elemosina dello Stato.Il fai da te non vi ha molto corso, dopo tanti anni di disastrosa confusione morale collettiva e di crisi o morte della capacità di lettura e di critica dell’esistente. Ma la crisi non è un’invenzione, la crisi c’è ed è mondiale, colpisce tutti e soprattutto chi ha dimenticato l’arte di arrangiarsi e di “creare” in anni trascorsi in paciosa e soddisfatta servitù o, i giovani, crescendo tra corruzioni e menzogne che hanno considerato come l’unica forma del possibile.

di Goffredo Fofi

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