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Italia: un Paese che non ama i libri!

Da Linkiesta

Osservatorio sull’editoria – I numeri del 2013: l’esatta dimensione di una voragine

Aumentano i titoli, diminuiscono le vendite, si abbassano i prezzi, e la luce è ancora lontana.

Sebbene nel 2012 al mondo siano stati venduti un miliardo di libri, le cose, come noto, non vanno tanto bene per l’industria editoriale. E per quanto l’editoria italiana risenta di una crisi strutturale capace di allargare l’ampiezza della sua voragine ogni anno che passa (a fine ottobre si registrava un calo di fatturato annuo del 6,5% – parliamo di circa 65 milioni di euro in meno rispetto al 2012 – flessione che giunge fino al –13,8% nei confronti del 2011) la situazione non è diversa da quella registrata in molti altri paesi.

Negli Stati Uniti il mercato del libro nel 2012 (ultimo anno di cui disponiamo di dati ufficiali a livello internazionale) ha perso il 9,3%, calo ancor maggiore si è registrato in Spagna (–10,3%), e anche in un’economia emergente come l’India la crisi editoriale non ha mancato di farsi sentire: –16%. La flessione insomma investe tutti i Paesi e contestualmente quasi tutti i generi, rarissime le eccezioni: cresce, ad esempio, il mercato dei libri per ragazzi nel Regno Unito e quello della fiction in Australia. Questa tendenza del resto è confermata anche da noi, qui i generi calano tutti ma quelli a tenere maggiormente sono proprio la fiction e i libri per bambini, questi ultimi si dimostrano addirittura in grado – nel caso degli editori medio-piccoli – di tenere a galla (si fa per dire) tutto il settore. A pagare il dazio più pesante in Italia è stata la cosiddetta no-fiction-pratica, ossia la manualistica, che nel 2013 ha fatto segnare un pesante –10,7%.

Riscontri puntuali del disastro macro-economico si osservano – o piuttosto contribuiscono a dargli un corpo concreto – nella discesa del numero di copie vendute in media per ciascun titolo. Nel 2011 erano 89 (e anche allora erano poche: parliamo di media e nella media c’è anche Gramellini – per intenderci), già nel 2012 scendevano a 82 per arrivare alle appena 76 registrate nel primo quadrimestre del 2013. Interessante notare come la fascia di prezzo dalla tenuta migliore sia quella dei libri dai 12 ai 15 euro (parliamo dei tascabili o delle prime edizioni in brossura), segmento in cui la media delle copie-per-titolo vendute (comunque in discesa) riesce a sfondare quota 100 anche nel 2013 (103). E proprio in sintonia con questo dato se ne registra un altro: aumentano i paperback in classifica, dal 96% del 2011 gli hardcover sono diventati in appena due anni l’83%, lasciando, tra i titoli più venduti, una cospicua quantità di spazio ai volumi in brossura (che costano meno).

Negli ultimi anni il principale tentativo di arginare l’enorme crisi strutturale ce sta investendo il mercato del libro è stata l’approvazione della legge Levi, la discussa norma che prevede sconti non superiori al 15% (tranne nei casi di promozione in cui si può arrivare al 25%). A distanza di un paio di anni possiamo dire che la legge Levi ha certamente ottenuto uno degli obiettivi che si prefiggeva: il prezzo medio dei libri in Italia è infatti sceso di 1 euro (si è passati da 14,5 a 13,5 da quando la norma è in vigore – questo fenomeno a tutti gli effetti è un segnale di democratizzazione amplia e consente una maggiore accessibilità alla mole dei libri presenti sul mercato: mentre prima venivano scontati molto i pochi titoli promossi dalle major ora i libri costano tutti un euro in meno, anche perché con una legge che impedisce sconti oltre una certa soglia alcuni editori hanno smesso di sovraprezzare i loro titoli per poi fingere di scontarli fortemente durante le promozioni).

Il nostro mercato del libro oggi vale 3,1 miliardi di euro, ma questa cifra (in confronto ad altri comparti industriali sostanzialmente risibile) diventa ancor più esigua se al dato complessivo si sottraessero i non-book, i sempre più diffusi gadget da libreria che ormai sono una delle ultime scialuppe cui si affidano librai ed editori per tentare di resistere: questi infatti riescono da soli ad ammorbidire di circa un 2% la flessione annua, ed entrano nel conto come voce positiva falsando di fatto la percezione degli osservatori dei meri dati statistici: come infatti non gli sarebbe difficile constatare i gadget non sono libri.

Nonostante tutto ciò negli ultimi anni è continuata ad aumentare l’offerta libraria proposta ai lettori italiani, se nel 2000 ogni mille abitanti uscivano 0,86 titoli, oggi siamo arrivati a poterne leggere 0,92 (il tutto malgrado un calo piuttosto consistente in fatto di traduzioni: i volumi tradotti da altre lingue erano il 25% nel 1995 e sono il 20% oggi). Un altro dato capace di andare contro l’opinione comune è la resistenza dei piccoli editori, nell’ultimo anno hanno perso meno terreno dei grandi (la loro flessione si è fermata al 5,3%).

Se questo dipende in parte dal fatto che i prezzi degli editori medio-piccoli sono in media più alti di quelli delle major non bisogna comunque sottovalutare l’importanza di un altro segnale: il canale di vendita in cui questi hanno maggior peso rispetto alla loro stazza sono le librerie on-line, dove arrivano a ritagliarsi una quota di mercato dell’11,9% (differentemente le loro vendite si fermano al 9,9% nelle librerie indipendenti e a un misero 7,4% in quelle di catena).

E se gli editori indipendenti hanno così tanto peso nelle librerie on-line, c’è chi sospetta che il motivo sia da cercarsi nel fatto che ormai i loro libri comincino davvero a non trovarsi (quasi) più nelle librerie fisiche: queste, ormai conquistate dai sistemi distributivi verticali (nel caso delle catene) o vessate da un mercato esangue (sono via via più rare le librerie indipendenti, fateci caso) tendono ad affidarsi sempre meno agli editori di progetto, rischiando così di omogeneizzare la vetrina del mercato editoriale nazionale restituendo un’immagine più piatta e  prevedibile di quanto questa in effetti non sia.

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