Skip to content
 

Tra Spread ed Eurobonds

Secondo appuntamento dei pomeriggi Ghislandiani: 

Tra Spread ed eurobonds: l’ Europa va alla guerra? Spinte centrifughe e tentazioni centralistiche. Sullo sfondo il pericolo di una Guerra di Secessione Europea?

PSI esponenti    Guglielmo Ghislandi  manifestazione    Ghislandi Sindaco Brescia  

Ghislandi  manifestazione    ANMIG Darfo 1958    Ghislandi a Breno 1945   

Giovedì 21 giugno alle ore 17-18 presso la sede del Circolo Ghislandi a Cividate ci si incontra per parlare e confrontarsi sui temi dell’attualità politica e del futuro. Sarà l’occasione di condividere (o di dis-sentire) con altri le proprie riflessioni.

E’ utile conoscere il dizionario della crisi,  cogliere e intravedere gli scenari economici politici europei ..

Un bond non è altro che un contratto di debito secondo il quale un investitore accetta di prestare una somma a un’azienda o a un governo concordando un tasso d’interesse. Se l’investitore ritiene che l’investimento sia rischioso – ovvero che lo stato o l’azienda potrebbero avere delle difficoltà a restituire la somma concordata -, per “coprire” il rischio gli assicuratori alzano i tassi d’interesse. Per finanziare la spesa pubblica, gli Stati emettono obbligazioni (in Italia esse si chiamano Cct, Bot, Btp), cioè cercano soldi sul mercato finanziario. Chiedono prestiti agli investitori privati, che  incassano periodicamente un certo interesse (le cedole di rendimento). Più lo Stato ha possibilità di ridare quei soldi, più basso sarà l’interesse che assicura. L’interesse è calcolato in base a quanto si ritiene uno Stato affidabile nel garantire agli investitori che i loro soldi ritorneranno, rimpinguati dall’interesse promesso. Attualmente i paesi  fortemente indebitati dell’Eurozona come la Grecia si confrontano a tassi d’interesse estremamente elevati. Più l’economia s’indebolisce, più il costo del loro debito aumenta entrando in un circolo vizioso estremamente difficile da rompere. Produrre eurobonds significa emettere delle obbligazioni in comune sui debiti sovrani europei. Così facendo un’obbligazione non dipenderà unicamente dall’economia di un paese, bensì dall’insieme dell’Eurozona. Questo è il meccanismo di garanzia che sta alla base di un’idea invocata da più parti come soluzione alla crisi finanziaria di alcuni Paesi dell’Unione Europea. Gli investitori avrebbero maggiori garanzie di ritorno sugli investimenti e i tassi d’interesse diminuirebbero, sollevando le economie degli stati più indebitati. Abbassamento del prezzo medio per i crediti, una maggiore coesione economica e monetaria, rinforzamento della stabilità e della resistenza dell’Eurozona….

Il famigerato spread  è un giudizio sulla stabilità del sistema economico nazionale: serve a determinare quanto devono essere esagerate queste promesse e misura il tasso d’interesse, calcolato in percentuale, che deve essere offerto per convincere gli investitori. L’interesse da garantire viene calcolato in rapporto a quello assicurato dal Paese più affidabile dell’Eurozona, la Germania. Spread significa semplicemente “differenza”: la differenza tra il tasso d’interesse delle obbligazioni statali più affidabili (i Bund tedeschi) e quello che lo Stato in questione deve garantire per far risultare appetibili le sue obbligazioni. Se uno Stato non ha più la possibilità pratica di pagare almeno gli interessi, tecnicamente si dice che è insolvente. La conseguenza logica è che, impossibilitato ad ottenere denaro, andrà verso il fallimento finanziario, il default. Il problema è: se alcuni stati dell’Unione Europea (i cosidetti Piigs: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) fallissero, le conseguenza potrebbero essere devastanti.  

Il 64% dei cittadini appartenenti a Stati membri dell’Unione europea si dice favorevole all’istituzione degli Eurobond per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani. Ma i tedeschi non ci stanno

Stando ad un recente sondaggio reso noto dal Parlamento europeo di Strasburgo, il 64% dei cittadini appartenenti a Stati membri dell’Unione europea si dice favorevole all’istituzione degli Eurobond per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani. Questo 64%, tuttavia, va messo a confronto con un consistente 79% di cittadini tedeschi che, in un altro sondaggio quasi contemporaneo (commissionato dall’emittente pubblica Zdf), rifiutano tale strumento. Queste due cifre rappresentano, in maniera simbolica ma molto chiara, il bivio di fronte a cui si trova l’Europa, al crocevia tra una sempre maggiore integrazione (politica oltre che economica) e una catastrofica dissoluzione. La preoccupazione tedesca, non infondata, è quella di fare la parte della “formica” laboriosa costretta a pagare i debiti di indisciplinati e spendaccioni Stati “cicala”.

L’emissione di Titoli europei, piazzati a tassi d’interesse sulla base del debito pubblico medio dei 27 Paesi Ue (rapporto deficit/Pil pari all’82,5% nel 2011), costituirebbe per gli Stati più virtuosi un aggravio dei costi di rifinanziamento del debito. Al tempo stesso, significherebbe un notevole vantaggio per gli Stati raccolti nel non benevolo acronimo “Pigs” vedrebbero con favore gli Eurobond. Dopo i “Pigs”, infatti, corrono il rischio di essere le vittime immediatamente successive di un eventuale (ma realistico) contagio.

Da una parte, un generico richiamo alla “solidarietà europea” rischia di apparire, da solo, un argomento privo di solide fondamenta. Dall’altra, appare evidente che per costruire una via d’uscita dalla crisi del debito in Europa è del tutto inadeguata un’ottica meramente elettoralistica, di corto respiro, ritagliata sulla misura dei sondaggi.  La vera sfida sarà trovare quel giusto equilibrio tra i due poli (rigore e crescita) senza il quale entrambi sarebbero condannati al fallimento…

Print Friendly, PDF & Email