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E’ morto Pete Seeger

E’ morto Pete Seeger, padre del folk impegnato. La sua impronta da Joan Baez a Springsteen

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L’hanno chiamato in tanti modi, il pifferaio magico del dissenso, il vate della folk music. Seeger era nato a New York il 3 maggio del 1919. Suo padre Charles, un obiettore di coscienza durante la Prima guerra mondiale, fu il primo docente a tenere corsi di musicologia negli Usa; sua madre era violinista e compositrice; suo zio era il poeta Alan Seeger; un suo bisnonno già predicava contro la pena di morte nella seconda metà dell’Ottocento. Evidentemente il dna trasmette anche la passione. “Cominciai a cantare e a suonare il banjo a cinque corde negli anni Trenta, dopo aver partecipato a un festival di musica folk nei pressi di Asheville, in North Carolina, e aver ascoltato John Henry suonata all’armonica da Thomas Hart Benton in un club del Greenwich Village”, ricordava. All’università di Harvard, tra i suoi compagni di corso c’era John. F. Kennedy, ma lui mollò gli studi prima della laurea, più interessato alle canzoni della Grande Depressione che ai libri di testo. Vittima del maccartismo, negli anni Cinquanta Seeger fu chiamato a testimoniare davanti al Comitato per le attività antiamericane. Si erano insospettiti ascoltando le parole di The hammer song (che poi sarebbe diventata famosa con il titolo di If I had a hammer, un classico degli anni Sessanta dopo la cover incisa da Peter, Paul and Mary – in Italia conosciuta in una versione yé-yé di Rita Pavone, Datemi un martello) . Insisteva troppo sui termini di pace, libertà e uguaglianza per non essere un simpatizzante comunista, un sovversivo. A chi lo interrogava disse: “Ho cantato per i barboni, ho cantato per i Rockfeller, sono fiero di aver cantato per tutti senza mai cospirare alle spalle di nessuno. E sono fiero di amare profondamente il mio paese”. Ai suoi inquisitori, pazientemente, cantò e spiegò le sue canzoni. Dopo un interminabile processo d’appello fu condannato a un anno di carcere, infine la pena fu revocata nel 1962, a pochi mesi da uno storico concerto alla Carnegie Hall – un parziale risarcimento per i danni subiti. “Chiedo venia per aver creduto che Stalin fosse un leader giusto anziché un dittatore sanguinario. Quel che chiedo alla gente è di allargare il concetto di socialismo. I nostri antenati erano tutti socialisti: quando ammazzavano un cervo magari tenevano per sé il boccone migliore ma il resto non lo facevano marcire, lo dividevano con la comunità”, disse nel 1994 a un giornalista del Washington Post. Nessuno sarebbe riuscito a cucirgli la bocca, era cresciuto tra i pregiudizi: da ragazzo, in famiglia; da adulto quando aveva sposato Toshi-Aline Ohta, una ragazza di padre giapponese e madre americana. Convolarono nel 1943, durante una licenza dal servizio militare; l’America era in pieno sentimento antinipponico.  Il successo dei Weavers, nei primi anni Cinquanta, era pari a quello di un gruppo pop. Erano ovunque, alla radio, in tv e nei teatri più prestigiosi, in virtù di quei quattro milioni di copie venduti da brani come On top of old smoky, So long, it’s been good to know yuh e Goodnight Irene. Sarebbe andato ben più lontano se il maccartismo non gli avesse spezzato le gambe: dopo il processo, le canzoni dei Weavers furono bandite dai media e dai teatri. Un lungo black-out prima della rinascita, negli anni Sessanta, in pieno folk revival, quando gli astri di Bob Dylan e Joan Baez erano alti nel cielo. Proprio la Baez, pasionaria dei diritti civili, incise una appassionata versione di We shall overcome, una delle più famose canzoni di protesta di tutti i tempi, che infiammava i manifestanti come Seeger era riuscito a far cantare Michael, row the boat ashore a diecimila russi durante un concerto alla Tchaikovsky Concert Hall di Mosca. “Che c’è di strano?”, commentò, “il mio lavoro è quello di mettere le canzoni sulla bocca della gente”. Lui, We shall overcome l’aveva appresa da una sindacalista – era stata tramandata di bocca in bocca dai primissimi del Novecento (un gospel intitolato I’ll overcome some day) e usata durante i picchetti nelle fabbriche nell’immediato dopoguerra. Coerente fino alla fine: Pete Seeger viveva a Beacon, una tenuta a ottanta chilometri da New York dove alla fine degli anni Quaranta si era costruito una casa fatta di tronchi d’albero. La sua ultima, memorabile apparizione risale al 2009, quando all’età di 89 anni cantò con Bruce Springsteen This land is your land al Lincoln Memorial durante le celebrazioni per l’insediamento del presidente Obama. Nel 1994, nel corso di una cerimonia al Kennedy Center Honors, il presidente Bill Clinton disse: “Mr. Seeger è un artista scomodo che ha osato cantare le cose nel modo in cui le ha viste”. Pete ribattè: “Per me sono tutte canzoni d’amore. Parlano dell’amore tra un uomo e una donna, dei genitori verso i figli, dell’attaccamento al proprio paese, della libertà, della bellezza, dell’umanità, del mondo, della ricerca della verità. Perché l’amore da solo non basta”. 

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